Azzurro è il cielo pieno di sogni e qualche nuvola. Azzurra è la maglia intrisa di sudore e di obiettivi. Succede ad inizio come a fine stagione. Azzurro anche se è stato grigio e pesante, di piombo pesante sul cuore – di tutti – è il ricordo che Franco Ballerini ha lasciato. E prima di lui, molti altri azzurri al suo pari… Binda, poi Magni. E Martini. Per dirla in chiave Nazionale. #AtletiAzzurri d’Italia.
Azzurra è la speranza di vittorie sofferte, di ricordi: di quelli belli e quelli da rinfrescare con nuovi successi. Che verranno. Azzurro è il futuro: perché il Mondiale arriva sempre. A sentenziare. A regalarci un Campione. A sfrecciare nei cuori, anche quelli di un solo giorno. Ma poi, al posto dell’azzurro ci sarà l’iride e il capolavoro da indossare tutto l’anno in corsa, da sfoggiare al Giro di Lombardia. Da riproporre alla Milano-Sanremo. E così sia. Magia. Solo il ciclismo può. Ci lascia poi sempre tutta una stagione davanti…
Azzurro è anche un po’ l’orgoglio nazionale, quello sano. Quell’orgoglio trasmesso come le preghiere, la sera a letto, di generazione in generazione. Così azzurro che basta un passaggio di testimone per rinfrescarne il colore acceso, che arricchisce e costruisce. Le storie belle. Di sport e di umanità. Ricordi azzurri. C’era l’Alfredo Martini. Quello che parlava con il giornalista confidente, Franco Rota, un giorno sì, l’altro… Fiorenzo Magni. Avevi solo il compito di rispondere al primo trillo. Se possibile ed ecco che: “Lucianina … mi passi il tuo babbo, per favore?”. Risuonava facile il compito nella cornetta. La voce era tenera, sia quella dell’uno che dell’altro (anche Magni, signori, proprio così, era tenero anche lui con te piccina…). E tu, pensando di esser grande prima del dovuto e per vocazione, dovevi indovinare, azzeccare il personaggio (sarà l’uno o sarà l’altro?). dovevi cercare di essere quasi perfetta come lui, loro. Non potevi sbagliare.
Quel modo di dire “Babbo” era solo di loro due. Tipicamente toscano. Porgevi così la cornetta con fare sicuro. Papà, allora, ti guardava strano: “Lui chi? Alfredo o Fiorenzo?”. Così, con nonchalance sapevi sempre come cambiare discorso. Se era di settembre. Meglio. Andavi a colpo sicuro. Ma poi le altre corse le conoscevi già… E sgattaiolando con la cornetta a mezz’aria rilanciavi prima di fuggire via con una domanda. Una domanda da tecnica: “Ah, papi, chiedigli chi vince il Mondiale!”. E se era primavera: chi la Sanremo? E d’autunno: chi il Lombardia?
Avevi un sogno. Vincere con la maglia azzurra. Quella maglia alla quale tante persone accanto a te, persino della tua sfera familiare, avevano dedicato vita, allenamenti, scritture, pagine, studi, tempo. Dedizione e amore per la maglia azzurra. Per gli Atleti Azzurri d’Italia.
Quando Franco Ballerini ti chiamò – con tutti gli accenti a posto, quelli alla toscana – per poco non ti cadeva il cellulare mobile per l’emozione: era forse il secondo portatile, conquistato con grande impegno da collaboratrice de La Gazzetta dello Sport (le pagine di Milano!). Erano allora articoli malpagati più altre cosine qua e là. La telefonata mobile: Franco ti proponeva di assisterlo come suo portavoce per il nuovo incarico con la Nazionale. Che roba! “Senti Lucianina, Alfredo mi consiglia di rivolgermi a te. Del resto lo ascolto come fosse un padre. E il tuo, di padre, fu al suo fianco. Quindi… Mi pare tutto logico. Cosa ne pensi?“. Al diavolo la parcella scarica come sempre. Perché come sempre, era bella l’occasione. Il resto è… storia con quella ciliegina sulla torta di Zolder servita dal treno azzurro di Mario Cipollini, un dessert che vale una vita intera. Di lavoro, impegno, sorrisi, soddisfazioni, momenti delicati, lune impossibili, il mondo che cambia. E poi? Poi un grande dolore che non si calmerà mai. Perché quando perdi un fratello – Franco – è così. Perché quando perdi un padre, un amico e due toscani che cercavano il Babbo come Alfredo, come Fiorenzo…
La malinconia nello sport deve essere solo linfa per un ricordo prolungato. Forse infinito. Anzi un ricordo che, per dirla in gergo ciclistico, deve allungare, sempre, scattare dietro la curva. Arrivare come la fuga. Perché il Mondiale torna ogni anno. Come tutte le belle corse. Così i trofei restano. Anche i tuoi quattro Mondiali con Quelli della Maglia Azzurra non si cancellano. L’attaccamento a quell’ Italia, alla Squadra, al Team voluto da Alfredo e poi da Ballero, sono identici. Non si cancella nemmeno il corollario. La costruzione della Squadra. Come la intendeva lui. Il Ballero. Fra poco sarà ancora il 7 febbraio 2010. C’era la neve a casa tua. E quel messaggio sul telefonino non si cancella più. Maledetto giorno. Molto azzurro comunque, a pensarci bene: e nello stesso tempo grigio piombo. Non più l’inferno (del Nord) ma il paradiso (dei giusti). Così si supera, si scatta, si punta alla Maglia: perché Franco fa Squadra. La sa fare. E tu non puoi tirarti più indietro. (Liberamente tratto da Blogosfera, Ruote. Di ieri di oggi, Cyclemagazine.eu)