Fossalta di Piave, 8 luglio 1918. Un giovane americano volontario della Croce Rossa Internazionale resta gravemente ferito ad un ginocchio a causa della deflagrazione di una granata austriaca. Ricoverato a Milano, si innamora di una crocerossina americana, Agnes von Kurowski. Renderà immortale quell’amore attraverso le pagine di un romanzo e lui diventerà uno dei più grandi scrittori nella storia della letteratura mondiale. Quel ragazzo americano era Ernest Hemingway.
Nel giorno del compleanno di Ernest Hemingway il Museo del Ciclismo ha dedicato uno spazio speciale a “Addio alle armi”. Nel romanzo, infatti, Hemingway riserva un omaggio al ciclismo sportivo ispirandosi al ciclista Bartolomeo Aymo per il personaggio di un assistente militare al trasporto dei feriti.
Da alcune letture tratte da “Addio alle armi” pedaleremo quindi alla scoperta di Bartolomeo Ajmo, della Sezione delle Biciclette militari, del Giro d’Italia 1928 e del ciclista Francesco Bosoni.
La stesura di Addio alle armi iniziò a Parigi nel marzo del 1928 (e vi invitiamo ad annotare tale data), in un luogo d’eccezione, con la luce fumosa del pomeriggio e la pista in legno dalle curve rialzate e il fruscio dei tubolari sul legno quando passavano i corridori: il Velodromo d’Inverno, o meglio noto come Vel d’Hiv. Hemingway frequentava assiduamente il Velodromo d’Inverno, uno dei simboli di quella Festa mobile che era la Parigi degli Anni Venti. In Addio alle armi Ernest Hemingway compie un mirabile groviglio di invenzione e di autobiografia, ispirandosi alla sua storia personale di volontario sul fronte italiano durante la prima guerra mondiale, nella quale si ritagliò un ruolo l’infermiera Agnes von Kurowski di cui Hemingway si innamorò.
Come era arrivato in Italia Ernest Hemingway? Salpato dall’America il 23 maggio del 1918, Hemingway si arruolò come volontario della Croce Rossa Internazionale e venne assegnato al quartier generale della 4 sezione americana a Schio. Decise di spostarsi a Fossalta di Piave, per essere più vicino ai luoghi di combattimento, e il 2 luglio con una bicicletta recuperata non si sa dove raggiunse la trincea per portare rifornimento ai soldati in prima linea.
Se l’uomo Ernest era nato il 21 luglio 1899 in Illinois, lo scrittore Hemingway nasce in Italia l’8 luglio 1918, quando l’esplosione di una minenwerfer, una bombarda austriaca, lo colpisce gravemente al ginocchio. Senza le 227 schegge di mitraglia conficcate nelle gambe, non sarebbe mai nata la tensione narrativa di rappresentare ciò che per Hemingway era davvero autentico: la vita era per lui una premessa necessaria per scrivere, e nei 6 giorni in cui visse la trincea italiana percorrendola in bicicletta raccolse tutto il materiale per scrivere 10 anni dopo Addio alle armi.
Il Museo del Ghisallo ospita una piccola sezione dedicata alle biciclette militari di inizio secolo, che testimonia l’abilità dell’uomo capace di creare un mezzo semplice, ma sofisticato allo stesso tempo, capace di partecipare in modo importante alla vita personale e sociale dell’uomo. E alla storia. In questa sezione di particolare interesse tecnico è sicuramente la prima bicicletta pieghevole della Bianchi, che a partire dagli anni della guerra di Libia (1911-1912) e per tutto il corso della Grande Guerra del 15 18, fu fornitrice ufficiale dell’esercito italiano. In particolar modo le biciclette Bianchi vanno a rifornire i reparti di bersaglieri ciclisti. Le biciclette a uso militare dovevano avere due requisiti fondamentali: la resistenza e la capacità di trasportare equipaggiamento bellico senza che i soldati dovessero caricarlo interamente sulle spalle. Non possiamo dire che Hemingway abbia pedalato proprio su questa bici, ma possiamo supporre che il modello su cui ha viaggiato lungo la trincea italiana appartenga a questa tipologia. E lo dimostra una famosa foto d’archivio del giovane Ernest a Fossalta di Piave, che è quella che abbiamo utilizzato nella nostra locandina. In Addio alle armi Hemingway fa pronunciare ad un certo Bartolomeo Ajmo una celebre frase sulla bicicletta:
C’è l’uso della bicicletta, in America? chiese Ajmo.
Una volta c’era.
Qui è una gran cosa – disse Ajmo – Una bicicletta è una cosa splendida.
Tenendo conto del fatto che Hemingway era molto molto attento nello scegliere i nomi dei suoi personaggi, chi era Bartolomeo Ajmo?
In Addio alle armi uno dei protagonisti del romanzo, l’autista del comando di Frederic Henry, viene chiamato da Hemingway come un famoso ciclista degli anni ’20: Bartolomeo Aymo, un ciclista tenace e coraggioso, incline al sacrificio, fortissimo in salita.
I giornali dell’epoca lo descrivono come un corridore che non conosceva fatica, dalla resistenza proverbiale, che aveva tutto del piazzato (e si piazzava sempre tra il secondo e il quarto posto) ma poco del vittorioso. Si distingueva per la capacità,nel momento di maggiore sforzo, di trasformarsi in un eroe elegante e dignitoso.
Nell’articolo de La Stampa “Vittoria di Lucien Buysse”, che racconta la tappa pirenaica Bayonne-Luchon, con in mezzo Aubisque e Tourmalet, il 7 Luglio 1926 è scritto Aymo buca, ripara e parte, buca di nuovo ripara ancora, ma il tubolare non vuol restare aderente al cerchione per mancanza di mastice. […] Aymo riprende il gruppo, ma nello stesso istante buca una prima volta e subito dopo una seconda. Povero Aymo, che disdetta! Il buon torinese, non si perde di coraggio e si mette con gran tenacia all’inseguimento. […] Aymo insegue fresco, aumentando il suo distacco da tutti gli altri. […] Aymo che marcia magnificamente e non è ancora affaticato riesce a sorpassare Talien e Dejonghe che lo precedevano. Dopo una rapida discesa Buysse piomba sul traguardo. Aymo che ha fatto una meravigliosa corsa, giunge secondo, senza aver mai subito un momento di debolezza e dando prova di grande energia e coraggio. Il personaggio Bartolomeo si spende per procurare cibo agli altri senza mai lamentarsi, cerca di spostare faticosamente l’ambulanza intrappolata nel fango, infine resta fatalmente ucciso durante la confusione della ritirata di Caporetto dalla retroguardia italiana. Nel dare il nome Bartolomeo Aymo al suo personaggio, Hemingway riconosce nel ciclista Aymo una incarnazione del suo ideale di eroe, che si caratterizza nell’essere un anti-eroe proprio nell’era pionieristica del ciclismo, quel ciclismo che era segnale di progresso, che segnava il passaggio dalla tradizione alla modernità. Dove le prime corse a tappe più che una competizione agonistica erano prove di sopravvivenza. Stiamo parlando del ciclismo delle sfide epiche, Gerbi – Cuniolo, Girardengo – Binda, di Belloni, di Bottecchia, di Alfonsina Strada, dei diseredati come Michele Gordini (altro cognome preso in prestito da Hemingway per un altro personaggio di Addio alle armi). E’ il ciclismo che vede nascere il Giro d’Italia, il Lombardia, la Milano-Sanremo e nel 1919 vede scalare per la prima volta il Ghisallo. E in mezzo a tutta questa epica Bartolomeo Aymo si piazza sempre nei primi posti. Fino al 1928, quando corre il suo ultimo Giro d’Italia, il suo canto del cigno piazzandosi al terzo posto.
Anche Giancarlo Brocci parla di Bartolomeo Aymo nel suo ultimo libro, edito da Minerva, Bartali – L’ultimo eroico [ cap.8, pg. 64 Gli Italiani e il Tour]
Il Giro d’Italia del 1928, sedicesima edizione della “Corsa Rosa”, si svolse in dodici tappe dal 12 maggio al 3 giugno 1928, per un percorso totale di 3044,6 km. Su 298 iscritti alla partenza, arrivarono al traguardo finale 126 corridori. La struttura del Giro tornò al modello classico, con una tappa seguita dal giorno di riposo, e nelle prime tappe furono Alfredo Binda e Domenico Piemontesi a darsi battaglia. Quest’ultimo si aggiudicò la prima frazione e mantenne il primato della corsa fino alla quarta tappa, quando Binda si scatenò lungo i 327 km da Arezzo a Sulmona rifilando a Piemontesi 15 minuti, passando al comando della classifica generale e mantenendo la prima posizione fino al termine della corsa.
Grazie alla donazione del sig. Augusto Bosoni il Museo del Ghisallo ospita da poco una vetrina che custodisce cimeli appartenuti al papà Francesco, che corse proprio il Giro d’Italia 1928 piazzandosi 71esimo. Tra i cimeli di particolare interesse storico fotografie originali e le edizioni della Gazzetta di tutta la durata della Corsa Rosa del 1928: leggendo le cronache a firma di Emilio Colombo abbiamo avuto modo di appurare la stima di cui godeva Bartolomeo Aymo, che si piazzò al terzo posto della classifica generale. La coincidenza della Storia vuole che Francesco Bosoni sia nato a Stradella il 21 luglio, come Ernest, nel 1903 e che durante la leva militare del 1923 sia stato assegnato ad un CAR di bersaglieri ciclisti. Il figlio Augusto ci ha raccontato questo aneddoto. Un giorno il comandante del CAR mandò a chiamare Bosoni, già noto per la sua grande passione ciclistica e per avere partecipato anche a delle corse in bicicletta con ottimi risultati: “Bosoni, tra pochi giorni, e inaspettatamente, arriverà il Colonnello per una ispezione e mi devi far sfilare i militari sulle biciclette essendo questo un reparto di bersaglieri ciclisti.” . Bosoni, per fare in fretta, ad uno ad uno mise in sella i giovani commilitoni, nessuno dei giovani militari sapeva andare in bicicletta, e nel dar loro una spinta diceva “pedala se non vuoi cadere”, solo che per indurli a stare in sella pedalando aveva legato i loro i piedi ai pedali della bicicletta. Venne il giorno della visita del Colonnello che, con grande soddisfazione del Comandante del CAR, vide tutti i militari sfilare in sella alle biciclette, incerottati ma in sella.
Prima di chiudere questo speciale vogliamo porgere i nostri più sentiti ringraziamenti ai nostri carissimi Amici canadesi Hannah e Patrick McCurdy, che hanno registrato le letture di Hemingway in inglese per poterle condividere con i nostri affezionati followers stranieri.
Vogliamo concludere questa pedalata storico-letteraria con delle associazioni di idee, che legano tra loro i personaggi e i luoghi di cui abbiamo parlato.
Siamo partiti da un Velodromo, il Velodromo d’Inverno. Nel 1942 il Vel d’Hiv fu trasformato in un tempio dell’orrore, al punto da essere poi chiamato il Velodromo della Morte. Nel luglio di quell’anno infatti vi furono rastrellati oltre 13000 ebrei parigini, di cui 5802 donne e 4115 bambini «Per un principio umanitario, s’intende», come venne spiegato. Cinque mesi dopo, un altro Velodromo fu invece tempio del riscatto del valore dell’uomo e dello sport sulla brutalità della guerra che stava bombardando Milano: al Vigorelli Fausto Coppi compie l’impresa del record dell’ora.
Come abbiamo visto, il 21 luglio è il compleanno di due dei Protagonisti di questa ricerca, Ernest Hemingway e Francesco Bosoni. E il 21 luglio entriamo nel segno del Leone, per cui ci pare giusto chiudere con l’altro Protagonista, Bartolomeo Aymo, segno del Leone.
Nel 1920 Bartolomeo Aymo entra a far parte della squadra Ganna. Fiorenzo Magni nasce nel 1920 e con i colori della Ganna, Ganna Ursus per la precisione, vincerà nel 1951 il terzo Giro delle Fiandre, che gli varrà il soprannome eterno di “Leone delle Fiandre”.
Questa associazione di idee c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia. La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.
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