Il Museo del Ghisallo oggi vive come ogni anno da quella maledetta data – 14 FEBBRAIO 2004 – una giornata da incubo. Sembra quasi che la Grigna che si affaccia al Museo dalla vetrata emozionante – disegnata “sulla natura”, quasi fosse en plein air, come voleva Fiorenzo Magni – in questo giorno faccia cadere inesorabile solo la sua ombra. Per spegnere le luci belle del museo. perché cattivi pensieri se ne volino via in fretta senza lasciare strascichi…

Quindici anni. Sono passati quindici anni. E il ricordo per Marco Pantani è per tutti fortissimo. Lassù, a Magreglio, e più giù. In ogni dove. Certo, anche in riva al mare. Adriatico compreso. Il suo mare.

Quindici anni e ci viene voglia di chiedere di fissare qualche pensiero nero su bianco a un amico particolare del Museo del Ghisallo, Gianfranco Josti, grande inviato del Corriere della Sera, per tutti IL DECANO dei giornalisti di ciclismo. Glielo chiediamo con discrezione e lui ricambiando lo fa. E noi sappiamo che costa fatica aprire di nuovo il cuore su quel capitolo – nero su bianco – su quel dolore. A lui più che ad altri. Ma eccole. Le sue righe. Grazie Decano. Ciao Marco amico del ciclismo tutto.

di Gianfranco Josti – Due date, due incubi, due avvenimenti ancora oggi, a distanza di tanti anni, avvolti in una nebbia greve, opprimente, asfissiante, velenosa e venefica.

5 giugno 1999, Madonna di Campiglio, penultima tappa del Giro d’Italia che Marco Pantani aveva stradominato. Quel mattino lo scalatore romagnolo si apprestava a trasformare i 190 chilometri che lo separavano dal traguardo dell’Aprica in una vera e propria marcia trionfale tra due ali di gente che avrebbe scandito, urlato, cantato il suo nome fino a restare afona. Quel mattino l’esito negativo di un controllo ematico imposto dal Coni lo condannava ad un lento, inesorabile declino che si sarebbe concluso cinque anni più tardi il 14 febbraio 2004 con la sua morte assurda, prematura, tragica, drammatica, per molti aspetti misteriosa.

Il 5 giugno si è spenta nel ciclismo quella luce splendida che colui che sarebbe diventato per tutti il Pirata aveva incominciato ad accendere nel ’94, quando aveva colto proprio al Giro le sue prime vittorie da professionista.

Aveva conquistato tutti, grandi e piccoli, vecchi, giovani, bambini, ragazzi, adolescenti, padri, madri, nonni e bisnonni. Bastava che la strada cominciasse ad impennarsi ecco che Pantani lasciava le retrovie del gruppo dove aveva pedalato pigramente fino a quel momento per portarsi in testa al gruppo e scattare una, due, tre, quattro volte fino a che nessuno restasse attaccato alla sua. Lo faceva sulle strade del Giro e del Tour e quindi il Pirata era amato e ammirato in Italia come in Francia, i bambini, i ragazzini italiani e francesi si identificavano in lui, tutti volevano correre in bici con la bandana in testa, pronti a buttarla via appena cominciava la salita.

Dopo Madonna di Campiglio quella luce ha avuto vissuto qualche bagliore vivissimo, quasi accecante. Ma lui, Marco Pantani, non era più il Pirata: l’onta di essere additato come dopato l’aveva spinto nei malefici gorghi della droga, che alla fine l’ha condotto ad una morte assurda e tragica. Per vari aspetti, tutt’ora misteriosa…

La luce sul Ghisallo tornerà domani. La vetrata si accenderà di nuovo, in attesa della riapertura per l’avvio della stagione del museo. Si riaccenderà senza ombre. Per quella promessa di fede che si rinnova ogni anno il giorno dopo il 14 febbraio. Marco è sempre lì con noi. E così lo ricorda il Museo del Ghisallo. Che è la casa dei ciclisti e di tutti noi fedeli a Pantani. La foto da GSMADONNADELGHISALLO qui http://www.gsmadonnadelghisallo.it/node/3441