Il velocipede è il frutto di una serie di invenzioni – principalmente opera di inglesi, francesi e tedeschi – che si susseguirono per tutta la prima metà dell’Ottocento. Negli anni che portarono all’Unità d’Italia una qualche forma di produzione di piccola serie era già iniziata nei Paesi più industrializzati d’Europa, tuttavia si era ancora lontani da uno standard su questioni quali il numero di ruote, la loro dimensione relativa, e addirittura se i pedali dovessero essere azionati dalle gambe o dalle braccia. È impossibile sapere con esattezza quando il primo velocipede fece la sua comparsa a Milano, probabilmente importato dall’Inghilterra o dalla Francia da qualche membro avventuroso dell’alta borghesia milanese. All’importazione di veicoli completi fece però presto seguito quella di parti destinate a essere assemblate in Italia e quindi la nascita delle prime officine ciclistiche milanesi: nel 1867 venne creata la ditta di Giovanni Greco e, successivamente, l’officina C. Baroni (1869). L’anno successivo Bartolomeo Balbiani aprì la prima attività di noleggio milanese in prossimità del Foro Bonaparte (qualche anno dopo la sua attività risultava posizionata all’angolo con via Tivoli): la Piazza d’Armi, oggi Parco Sempione, l’Arena e i viali circostanti erano un ambiente particolarmente favorevole alle sperimentazioni ciclistiche e il suo esempio venne seguito anche da Greco, che aprì un proprio noleggio dal lato opposto della piazza del Castello (all’angolo con via San Nicolao).
I velocipedi più prestigiosi continuavano ad avere nomi inglesi, francesi o tedeschi ma anche i costruttori locali iniziavano a godere di una certa fama. All’Esposizione industriale italiana di Milano, che si svolgerà nel Salone dei Giardini pubblici durante il settembre 1871, Giovanni Greco e C. Baroni (la ditta era forse già passata a Luigi Pisa) esponevano alcuni dei loro prodotti nella sezione dedicata a carrozze e selle, ricevendo alcuni premi. Dieci anni dopo, un’analoga manifestazione svoltasi sempre nei Giardini di Porta Venezia ospitava nella sezione dedicata ai “mezzi meccanici di locomozione ordinaria” un numero piuttosto cospicuo di produttori, la maggior parte dei quali milanesi o, comunque, lombardi.
Espositore | Località | Prodotti esposti | Premio |
Caimi Carlo | Castano Primo (MI) | Velocipede di nuova invenzione | Medaglia di bronzo |
Carrera Ing. Pietro | Torino | Velocimano per servizio pompieri e altro per servizio privato | |
Greco G. e Figli | Milano | Velocipedi di diversi sistemi | Medaglia d’argento |
Panizza Ciriaco | Milano | Idrovelocipede | |
Pisa Luigi (successore di C. Baroni) | Milano | Un velocipede a due ruote, una carrozzetta a poltrona | Menzione onorevole |
Prata Vittore Ag. | Casteggio (PV) | Velocipede in acciajo | |
Scuri Gio. Batt. | Lecco | Velocipede a una ruota | |
Tavelle Giovanni | Milano | Carrozzette e velocipedi | |
Turri e Porro | Milano | Velocipedi a varj sistemi | Medaglia d’argento |
Nelle guide commerciali milanesi degli stessi anni, figuravano in città 4-6 esercizi commerciali che si dedicavano ad attività relative al ciclo, generalmente collocate in prossimità dei parchi o nelle zone di espansione dei nuovi quartieri borghesi. Per quanto riguarda le specializzazioni, i confini fra importazione, assemblaggio, vendita e noleggio erano probabilmente molto sfumati in un settore che non aveva ancora una fisionomia chiara.
Gli anni Ottanta del 1800 segnano tuttavia l’inizio di un rapido fenomeno di crescita, che si prolunga per circa un ventennio. L’introduzione di nuovi modelli di bicicli a ruote uguali e con trasmissione a catena (all’epoca indicati come “bicicletti”, al maschile) contribuì sicuramente a diffondere mezzi più pratici e versatili.
È questo il periodo in cui si moltiplica la nascita di nuove iniziative imprenditoriali, alcune delle quali destinate a diventare un tassello importante della storia del ciclismo italiano. Un’anagrafe dell’industria ciclistica, tuttavia, è difficile da ricostruire: in molti casi le aziende nascevano come piccole officine, talvolta accanto ad altre attività di fabbricazione o vendita, spesso sparpagliate in quella ricca e confusa rete di botteghe che si alternavano, senza soluzione di continuità, alle abitazioni dei milanesi.
Nei pochi documenti ufficiali sopravvissuti è possibile solo reperire informazioni sulla nascita “ufficiale” di una ditta, non sempre coincidente con il reale inizio delle attività, mentre le inserzioni pubblicitarie erano un investimento che poteva essere affrontato solo una volta conquistata una certa stabilità. Nei documenti conservati dalla Camera di commercio di Milano, ad esempio, Edoardo Bianchi datava l’avvio della propria ditta nel 1899, mentre nella propria autobiografia l’imprenditore ricordava di aver iniziato i primi esperimenti nel 1885.
Pur con queste precisazioni, è innegabile che il panorama ciclistico milanese degli anni Ottanta e Novanta sia molto affollato: le ditte importatrici si rafforzano (è il caso, ad esempio di Augusto Egelmann e Max Turkheimer), in alcuni casi le nuove iniziative partono da giovani e intraprendenti meccanici, come appunto Bianchi, in altri da personaggi che operavano in settori relativamente lontani dalla bicicletta ma, nel privato, appassionati ciclisti (come Paul Merchand, attivo nel settore delle ricerche petrolifere e Corrado Frera, commerciante in articoli in gomma). L’espansione del nuovo settore è tanto impetuosa da attirare l’attenzione anche di un’importate azienda come la Prinetti e Stucchi che, dal 1892, affianca la produzione di biciclette a quella di macchine da cucire e di turaccioli.
Non mancavano anche iniziative orientate a favorire la diffusione del ciclismo: avevano sede a Milano una Società dei velocipedisti (in via Montebello 3) e il Veloce Club (via Vivaio 11), al quale si deve, peraltro l’organizzazione di una prima mostra ciclistica nazionale (nel 1886).
Negli anni Novanta avevano poi una discreta diffusione testate come Il Ciclista e La Bicicletta, mentre un largo spazio al ciclismo verrà garantito dalle pagine di Motori cicli e sports, una delle più importanti riviste sportive italiane, nata a Milano nel 1908. Una nota di colore, poi, è rappresentata dal Bar Ciclistico che ebbe sede in via Dante 17 dalla metà degli anni Novanta dell’Ottocento fino agli anni Venti del Novecento.
La diffusione della bicicletta – sempre più simile agli standard che conosciamo oggi – nell’ultimo decennio dell’Ottocento e nel primo del Novecento si accompagnava anche a una riduzione dei costi: nata come un dispendioso giocattolo per sportivi alto-borghesi o aristocratici, una bicicletta di buona fattura poteva costare dalle 700 alle 400 lire, in un periodo in cui la paga di un operaio tessile era di una lira al giorno e quella di un operaio meccanico di 5-6 lire.
All’inizio del Ventesimo secolo, tuttavia, iniziano ad essere offerte sul mercato biciclette di qualità modesta ma con un prezzo sostenibile anche per le classi popolari (attorno alle 120 lire), favorendone la diffusione e rendendone possibile l’utilizzo come mezzo di trasporto di tutti i giorni, anche in virtù dell’organizzazione di ‘scuole’ deputate a insegnare ai nuovi ciclisti come guidare il proprio mezzo.
Si creano così le condizioni favorevoli alla costruzione di una base diffusa di praticanti, che si rivelerà essenziale per l’espansione dell’uso sportivo del mezzo e per la nascita delle più importanti competizioni ciclistiche.