ATLANTE STORICO DEL CICLISMO IN LOMBARDIA
L’età dell’oro: 1946-1960
L’età dell’oro: 1946-1960
Nell’immediato dopoguerra, in Italia e in Lombardia, la bicicletta costituisce il principale mezzo di trasporto della popolazione e l’ideale trait d’union tra le pratiche quotidiane degli abitanti e le fatiche dei corridori impegnati nelle grandi corse del ciclismo: l’esclamazione «pedalare!» diviene così, per estensione, un’esortazione tesa a indicare la necessità di ‘rimboccarsi le maniche’ e darsi da fare per la ricostruzione del Paese dopo le devastazioni belliche.
In questa fase storica, anche grazie agli aiuti economici inizialmente offerti dall’European Recovery Program (noto anche come ‘Piano Marshall’), in Italia vengono poste le basi per il cosiddetto ‘boom economico’ che caratterizzerà gli anni Sessanta. Ingenti fenomeni migratori interni iniziano a portare masse di nuovi abitanti verso il ‘triangolo industriale’ del nord Italia. Viene varato il piano nazionale “INA-Casa” per dare risposta all’emergenza abitativa: la Lombardia e, in particolare, Milano diverranno presto il campo di sperimentazione di nuove idee architettoniche e urbanistiche.
Proprio in questo periodo si registra l’apice della popolarità del ciclismo come sport più seguito dalle masse e dai media: il Giro d’Italia è un evento che mobilita la nazione e la sua narrazione quotidiana è affidata non solo ai cronisti sportivi, ma anche a letterati come Dino Buzzati (1949) o Vasco Pratolini (1955). Attraverso le vittorie dei ciclisti italiani, in patria e all’estero, l’Italia riacquista rapidamente parte del ‘prestigio’ internazionale smarrito con il disastro bellico voluto dal fascismo e costruisce le fondamenta di un solido rapporto tra sport e politica che, negli anni successivi, porterà al nostro Paese l’opportunità di organizzare due ‘mega eventi’ ante litteram: le Olimpiadi invernali di Cortina (1956) e la XVII edizione dei Giochi Olimpici estivi a Roma, nel 1960.
Gino Bartali e Fausto Coppi si contendono le vittorie più prestigiose dell’immediato dopoguerra. Dal 1946 al 1949, Coppi vince quattro edizioni consecutive del Giro di Lombardia e tre Milano-Sanremo, corsa in cui è Bartali a imporsi, invece, nel 1947 e nel 1950. Coppi tornerà a vincere il Giro d’Italia per altre quattro edizioni: (1947, 1949, 1952 e 1953) e trionferà due volte al Tour de France, nel 1949 e 1952. Ma il successo di maggior peso simbolico, in terra francese, spetta a Gino Bartali che, vincendo il Tour del 1948, contribuisce a stemperare, almeno dal punto di vista mediatico, le drammatiche tensioni politiche esplose in Italia in seguito all’attento di cui Palmiro Togliatti era stato vittima il 14 luglio di quell’anno. Il Giro d’Italia del 1949, vinto da Coppi, è forse il meno ‘lombardo’ della storia: parte da Palermo il 21 maggio e si conclude il 12 giugno quando, finalmente, si arriva in Lombardia con l’ultima tappa: Torino-Monza. I corridori terminano la loro fatica sul tracciato dell’autodromo; il cronista Ciro Verratti scriverà: «ci ha fatto una strana impressione ascoltare il lieve fruscio delle ruote su quell’asfalto che finora conosceva solo la voce lacerante dei motori».
Il dualismo Bartali-Coppi infiamma i tifosi del ciclismo italiano: Bartali è generalmente assunto come simbolo della solidità della ‘tradizione’, Coppi incarna le tensioni della modernizzazione (economica, sociale e politica) che inizia ad attraversare il Paese. Anagraficamente separati da cinque anni d’età, il confronto tra i due resiste per alcune stagioni prima dell’inevitabile declino agonistico del più vecchio Bartali, che si ritirerà nel 1954. Nel frattempo, si è affacciato alla ribalta del grande ciclismo italiano e internazionale un corridore di origini toscane, traferitosi a Monza nel 1944, destinato ad avere un ruolo fondamentale per la conservazione del patrimonio culturale del grande ciclismo in Lombardia: è Fiorenzo Magni. Corridore di straordinaria forza e tenacia, Magni si guadagna l’appellativo di “terzo uomo”, perché costretto a ricavarsi onori e vittorie entro il periodo di maggior splendore di Bartali e Coppi. Magni vince tre edizioni del Giro d’Italia (1948, 1951 e 1955) e si afferma in tre edizioni consecutive del Giro delle Fiandre, dal 1949 al 1951.
Dopo il mancato svolgimento dei mondiali del 1939, la città di Varese finalmente ospita i campionati del mondo su strada per professionisti del 1951; è proprio Magni a conquistare la medaglia d’argento, battuto allo sprint dallo svizzero Ferdi Kübler. Molti anni dopo, all’inizio del nuovo millennio, la celebre tenacia di Magni si rivelerà fondamentale per la realizzazione del Museo del Ciclismo Madonna del Ghisallo, nella stessa località in cui già sorgeva il celebre santuario dedicato alla patrona universale dei ciclisti.
Nel 1953 il Giro d’Italia transita per la prima volta sul Passo dello Stelvio, nel corso della ventesima tappa Bolzano-Bormio: Fausto Coppi compie un’impresa che gli consente di strappare la maglia rosa a Hugo Koblet e di vincere il Giro, il giorno seguente, nella conclusiva frazione Bormio-Milano.
Coppi continua a vincere: sempre nel 1953 si aggiudica i campionati del mondo disputati a Lugano, in Svizzera, e il Trofeo Baracchi in coppia con Riccardo Filippi, con cui vincerà anche le due edizioni successive. Nel 1954, conquista la Coppa Bernocchi. Nel 1955 coglierà le ultime vittorie in territorio lombardo: una singolare edizione a cronometro della Tre Valli Varesine e la ventesima tappa del Giro d’Italia, da Trento a San Pellegrino Terme.
Con l’inizio del declino agonistico di Fausto Coppi, l’età dell’oro del ciclismo italiano si avvia a conclusione; sulle strade della Milano-Sanremo, del Lombardia e del Giro d’Italia tornano ad affermarsi i grandi campioni stranieri: Rik Van Steenbergen, Miguel Poblet, André Darrigade, Rik Van Looy, Charly Gaul.
Jacques Anquetil, fenomenale corridore francese, si aggiudica il Giro d’Italia del 1960: il primo disputato dopo la prematura morte di Fausto Coppi. Durante la penultima tappa, da Trento a Bormio, viene affrontato per la prima volta il Passo Gavia: transita in testa al gruppo il giovane Imerio Massignan, che poi forerà ripetutamente in discesa, favorendo così il recupero e la vittoria di tappa di Charly Gaul, già vincitore del Giro d’Italia nel 1956 e 1959.
Il Giro di Lombardia del 1960, che chiude la stagione agonistica, si disputa il 16 ottobre: partenza da Milano e ritorno, con arrivo al Velodromo Vigorelli, per un totale di 230 km, come in occasione della prima edizione del 1905. Vincerà il belga Emile Daems, ma la corsa passa alla storia per l’introduzione di una salita destinata a entrare nel mito del ciclismo in Lombardia: il ‘muro’ di Sormano. Vincenzo Torriani, che dal 1949 riveste il ruolo fondamentale di organizzatore delle grandi corse promosse da “La Gazzetta dello Sport”, con un’intuizione da progettista del paesaggio, inventa questo nuovo tratto di strada, sottraendolo al suo limitato uso locale (quasi una mulattiera) per ricavarne una salita dalle pendenze quasi impossibili da percorrere per gli standard agonistici dell’epoca. Il ‘muro’ di Sormano diventa il simbolo di un nuovo tipo di rapporto tra territorio regionale e grandi corse del ciclismo, caratterizzato da una rinnovata ricerca di difficoltà altimetriche mirate a mettere alla prova la crescente prestanza atletica e capacità tecnica dei corridori.