ATLANTE STORICO DEL CICLISMO IN LOMBARDIA
L’ultimo ciclismo classico: 1961-1976
L’ultimo ciclismo classico: 1961-1976
I primi anni Sessanta, nell’Italia e nella Lombardia del ‘boom economico’, sono caratterizzati da una progressiva espansione della motorizzazione di massa e da rilevanti investimenti pubblici nel campo delle infrastrutture. Nel 1964 viene inaugurata la tratta finale dell’Autostrada del Sole, che va a costituire la nuova ‘spina dorsale’ della mobilità veloce su gomma nazionale, collegando Milano a Napoli. La prima tratta, Milano-Parma, è però già attiva dalla fine del 1958.
L’estensione complessiva della rete autostradale italiana, rimasta invariata (meno di 500 km) dallo scoppio della guerra alla fine degli anni Cinquanta, raggiunge i 1736 km nel 1965. Nel 1970, i chilometri di autostrade saranno già diventati 3913. Le auto circolanti, in Italia, erano 342 mila nel 1950, ma sono già diventate 1,9 milioni nel 1960. Dieci anni dopo saranno più di 10 milioni: per la prima volta il numero di automobili eguaglia il numero di biciclette. Alle autovetture si devono poi aggiungere gli ‘scooter’ che, nei primi due decenni del dopoguerra, costituiscono una sorta di surrogato dell’automobile per chi desidera un mezzo a motore, ma non può ancora accedere al mercato automobilistico. A Milano, in zona Lambrate, dal 1947 al 1971, la fabbrica Innocenti produce la celebre Lambretta, oggi divenuta oggetto di culto per gli amanti del modernariato.
Il nuovo paradigma della motorizzazione inizia a erodere la centralità della bicicletta come mezzo di trasporto ordinario della popolazione e, con essa, anche il legame strutturale tra grande pubblico e ciclismo: i corridori non sono più uomini ‘eccezionali’, capaci di portare ai massimi livelli un’attività svolta da tutte le persone nel quotidiano; diventano progressivamente degli ‘sportivi’, al pari degli atleti che praticano altre discipline. Ma l’eredità storica lasciata dagli anni d’oro di Coppi e Bartali garantisce comunque al ciclismo un’attenzione assoluta da parte dei media, degli appassionati e, di conseguenza, degli sponsor.
Già nel 1954, grazie a un’intuizione brillante di Fiorenzo Magni e al suo accordo con l’azienda produttrice della crema “Nivea”, il ciclismo aveva aperto le porte alle sponsorizzazioni provenienti da imprese attive in settori non legati alla dimensione tecnica dello sport. Questa propensione diverrà fondamentale negli anni Sessanta, quando le storiche squadre direttamente legate ai produttori di biciclette (come la Bianchi, la Legnano, l’Atala, ecc.) cesseranno progressivamente l’attività agonistica o dovranno mutare forma. Sono i grandi imprenditori lombardi, mossi da passione personale, ma anche da strategie di marketing, a investire sullo sport del pedale, sponsorizzando alcune delle più importanti squadre dell’epoca (Ignis, Faema, Molteni, ecc.) e riuscendo così a legare, in modo indissolubile, il territorio lombardo alle vicende umane e sportive dei più grandi corridori del mondo. Primo tra tutti: Eddy Merckx.
A partire dal 1961, con il successo di Raymond Poulidor, la Milano-Sanremo diviene terreno di conquista per i corridori stranieri. Il Giro di Lombardia, vinto da Vito Taccone, presenta quell’anno una novità storica: la corsa parte come sempre da Milano, ma non è più destinata a farvi ritorno. Il traguardo è posto al velodromo di Como, dentro le mura dello Stadio Sinigaglia, la cui pista sarà purtroppo smantellata, molti anni dopo, per agevolare le attività calcistiche dell’impianto. Oltre al durissimo ‘muro’ di Sormano, introdotto l’anno precedente, quel Lombardia prevede anche il “Super Ghisallo” una nuova, più lunga e difficile, versione della tradizionale ascesa al colle.
Nel 1962, i campionati del mondo su strada vengono organizzati e disputati in Lombardia, a Salò, sul Lago di Garda: il 2 settembre, il francese Jean Stablinski vince il titolo iridato dei professionisti.
Il Giro di Lombardia che si corre quell’anno, il 20 ottobre, registra la terza e ultima scalata al ‘muro’ di Sormano: dall’anno successivo sarà espunto dal tracciato e tornerà ad essere percorso solo a partire dal 2012. La corsa termina a Como, in piazzale Cavour, dopo 253 km: vince l’olandese Johan De Roo, che bisserà il successo l’anno seguente.
Nel 1963 il Giro d’Italia propone un percorso quasi inverso rispetto ai tracciati tradizionali dei primi decenni della ‘corsa rosa’: parte da Napoli il 19 maggio e si conclude il 9 giugno con la tappa Brescia-Milano; la classifica generale sancirà il successo di Franco Balmamion, per il secondo anno consecutivo.
Nel 1964 il Giro di Lombardia è vinto da Gianni Motta, giovane corridore nato a Cassano d’Adda, che nel corso dell’anno si è già aggiudicato la Coppa Bernocchi e il Trofeo Baracchi. Motta vincerà poi il Giro d’Italia (1966) e quattro edizioni della Tre Valli Varesine.
La Milano–Sanremo del ’64 è stata nel frattempo vinta da un insolito corridore inglese, Tom Simpson, che l’anno successivo conquisterà il campionato del mondo per poi andare a vincere, indossando la maglia iridata, il Giro di Lombardia. La partenza di quel Lombardia, il 16 ottobre 1965, è spettacolarmente posta alla base del grattacielo Pirelli di Milano. Simpson giunge per primo al velodromo di Como e vince per distacco; due anni dopo entrerà nel mito, trovando la morte sulla salita del Mont Ventoux, durante il Tour de France.
Il 1965 è soprattutto l’anno in cui il giovane Felice Gimondi, nato a Sedrina, in provincia di Bergamo, esordisce nella categoria dei professionisti: corre il suo primo Tour de France e, clamorosamente, lo vince. Inizia così una carriera piena di successi: nel 1966 vince la Parigi-Roubaix e il Giro di Lombardia; nel 1967 conquista il suo primo Giro d’Italia (vincerà altre due edizioni, nel 1969 e 1976); nel 1968 vince la Vuelta (il ‘giro’ di Spagna); nel 1973 trionfa ai campionati del mondo a Barcellona, vince la Coppa Bernocchi e di nuovo il Lombardia; nel 1974 si aggiudica la Milano-Sanremo e la Coppa Agostoni.
La straordinaria carriera di Gimondi risulterà paradossalmente limitata perchè si incrocia, fin da subito, con quella di un corridore belga destinato a diventare il più forte di ogni epoca: Eddy Merckx. In una carriera irripetibile, durata 13 anni, Merckx riscrive gli albi d’oro del ciclismo mondiale vincendo a ripetizione qualunque corsa degna di nota (unica eccezione: l’antica Paris-Tours); lo fa, in misura considerevole, anche sulle strade lombarde: nel 1966 conquista la prima delle sue sette Milano-Sanremo (trionferà anche nelle edizioni del 1967, 1969, 1971, 1973, 1975 e1976); nel 1971 e nel 1972 vince il Giro di Lombardia, lo conquista anche nel 1973, ma viene poi squalificato (lasciando la vittoria a Gimondi); tra il 1968 e il 1974 vince cinque edizioni del Giro d’Italia (una sequenza interrotta solo nel 1969, a causa di una prima e controversa squalifica).
Mentre Gimondi vince i campionati del mondo di Barcellona, l’Italia deve affrontare le conseguenze della crisi petrolifera del 1973. Ridurre i consumi di energia diviene un imperativo. La circolazione dei mezzi a motore viene limitata dall’introduzione delle cosiddette “domeniche a piedi”. Per qualche mese la bicicletta, come mezzo di trasporto quotidiano, torna a vivere i fasti del passato. Le cronache dell’epoca riportano che Milano è invasa da «centinaia di migliaia di ciclisti» e gli ordinativi sommergono le aziende impegnate, a fine novembre, a promuovere i propri prodotti in occasione dell’Esposizione internazionale del ciclo e del motociclo che si tiene alla Fiera. A Como, l’organizzazione di un giro cicloturistico registra la partecipazione di 1750 persone.
Si tratta di un fenomeno momentaneo, che andrà spegnendosi con il progressivo ritorno alla normalità degli approvvigionamenti energetici, a partire dalla metà del 1974. Il Giro d’Italia di quell’anno parte il 16 maggio dalla Città del Vaticano, a Roma, e si conclude il 9 giugno nel capoluogo lombardo con una tappa speciale detta “Giro di Milano”. Merckx vince la sua ultima ‘corsa rosa’ con pochi secondi di vantaggio su di un giovane corridore mantovano appena approdato al professionismo: Gianbattista Baronchelli. Al terzo posto della classifica generale si piazza Felice Gimondi.
Merckx e Gimondi ottengono le ultime vittorie di prestigio nel 1976.
Il decennio che li ha visti protagonisti ha registrato il sorgere di nuove e radicali tensioni politiche e sociali, in Lombardia come nel resto d’Italia. A Milano iniziano i primi processi di delocalizzazione produttiva che porteranno alla dismissione di grandi aree industriali collocate in prossimità del cuore urbano della metropoli. Grandi cambiamenti economici, sociali e urbanistici sono ormai alle porte, nel contesto regionale.
Ma anche lo sport del pedale sta cambiando: con Merckx e Gimondi si raggiunge il culmine dell’evoluzione del ciclismo agonistico ‘classico’, quello nato e cresciuto attraverso le imprese dei ‘campionissimi’: da Girardengo a Coppi. Sta per iniziare una nuova fase storica, caratterizzata da significative innovazioni tecnologiche nella produzione di biciclette e abbigliamento da gara, ma anche da una crescente ‘specializzazione’ dei corridori dal punto di vista delle abilità tecniche e delle caratteristiche fisiche.