Una delle notizie più tristi dello scorso fine anno è stata la scomparsa di Vittorio Adorni, campione fra i campioni, gentiluomo del Grande Ciclismo, fraterno amico di Fiorenzo Magni, che è il fondatore del Museo del Ciclismo Madonna del Ghisallo. La notizia della scomparsa di Adorni ha raggiunto tutti, a fine dicembre 2022, appena dopo Natale, attraverso Norma Gimondi, figlia di Felice, che ha affidato a Facebook queste parole: “Ciao Vittorio, salutami papà”. A proposito di parole, proponiamo qui il ritratto pubblicato da Il Sole 24 Ore con Dario Ceccarelli, preziosa penna che contribuisce con generosità – non è la prima volta – al progetto del Museo custode dei ricordi di tutti i ciclisti.
Vittorio Adorni e la rivoluzione del ciclismo in tv. Una carrellata di campioni dello sport italiano che hanno appassionato generazioni di tifosi e che hanno lasciato il segno fino ad oggi. di Dario Ceccarelli
A modo suo, è stato un rivoluzionario. Ma senza mai vantarsene, proprio come i veri rivoluzionari che le cose le fanno senza bisogno di annunciarle ai quattro venti. Vittorio Adorni, 85 anni, scomparso senza farsi notare troppo alla vigilia di Natale, era un bel tipo. Non solo come protagonista in corsa, ma anche come persona. Una persona gentile, un campione determinato: un’abbinata che non sempre coincide. Aveva quel “non so che”, quel “savoir faire”, come dicono i francesi, che non ti può insegnare nessun libro. Sapeva vedere in anticipo le cose, intuiva lo svolgersi di una corsa. E sapeva esprimersi in ottimo italiano, cosa rarissima in quel ciclismo, appena successivo a Bartali e Coppi, in cui la stragrande maggioranza dei corridori veniva da famiglie umili.
Contadini, muratori, artigiani. Le due ruote erano un ottimo ascensore sociale, uno strumento per uscire dalla povertà vera. Se si parla di campioni, naturalmente. Altrimenti i magri introiti da gregario non è che permettessero chissà quali lussi. Anzi, spesso, quando veniva l’inverno, molti s’ingegnavano a fare altri lavoretti per far quadrare le spese.
Primo campione figlio della tv. È in questo contesto, in questa Italia che sta lanciandosi nel boom economico, che comincia la storia di Vittorio Adorni, primo campione figlio della tv. Già, perché oltre che fuoriclasse sui pedali (maglia rosa al Giro ’65, campione del mondo nel 1968 a Imola), Adorni inventò anche un genere che fino ad allora era sconosciuto: il commentatore tecnico, la seconda voce che fa spalla al conduttore televisivo. Ma il bello è che lo fa quando corre ancora da professionista, spesso in maglia rosa o comunque in lotta per la classifica. Era stato Sergio Zavoli, celebre inventore del “Processo alla tappa”, che lo aveva ingaggiato nel 1965 come collaboratore fisso del suo programma.
Vittorio era perfetto. Sia perché, pur essendo un autodidatta, sapeva farsi capire, sia perché nel gruppo era una figura carismatica e quindi, se poneva una domanda a un collega, questi gli rispondeva prontamente. «Nella prima parte della corsa, quando non era ancora scoppiata la bagarre, andavo in mezzo al gruppo con un registratore a tracolla e il microfono in mano per intervistare i miei compagni», racconterà Adorni diversi anni dopo.
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Foto apertura Vittorio Adorni con Eddy Merckx – Archivio Faema Museo del Ghisallo